FuoriSalone 2013: Ventura Lambrate

Domenica mattina, arrivo in zona Ventura Lambrate a piedi, dal tugurio in cui ho passato la mia notte milanese. Il sole scalda e l'aria è frizzante. Le strade sono silenziose, in giro poche anime, tra queste molti designer che raggiungono le loro postazioni. Per me è la prima volta a Ventura Lambrate, mi guardo attorno con attenta curiosità. Inizio la mia passeggiata da lontano, da Ventura at Work. La location è grezza e l'atmosfera genuina. Designers e makers, esposizione e costruzione, poesia e racconto, occhi e mani. Mi sposto in via Oslavia verso Ventura Warehouse. Il grande spiazzo di fronte ai capannoni inizia a brulicare di gente, senza mai diventare confusione. Entrando nell'edificio lo sguardo va verso l'alto soffitto e scende verso gli oggetti, esposti con ordinata casualità... E' un luogo conviviale, c'è ampio spazio dedicato a sedie e tavoli, così tanto da sembrare eccessivo, perlomeno a quell'ora del mattino. Continuo la mia passeggiata infilandomi nelle vie del quartiere, fino ad arrivare, con il mio itinerario contromano, in via Ventura. Via Ventura è più ordinata e più ordinaria, il clima ricorda la più celebre via Tortona, con un misto di location raffinate e magazzini polverosi, showroom luccicanti e anonimi caseggiati di periferia, il tutto attraversato dalla prima puzza di hot dog. Mi dirigo lentamente verso la Metro e molta gente inizia ad arrivare, è ora di pranzo. C'è confusione, ma non il delirio di via Tortona. Ho visto molte cose interessanti, ho visto molti oggetti e pochi mobili, qualche sperimentazione fashion, qualche inutile performance artistica, qualche affascinante pezzo d'artigianato, troppi cartelli "don't seat" e "don't touch". Ho visto dinamismo, freschezza, voglia di comunicare. Ricostruisco rapidamente la mattinata nella mia mente e mi organizzo per il rientro a casa. Di Ventura Lambrate mi resta la semplicità, la genuina sorniona vitalità, i molti designer stranieri, i pochi marchi dal nome altisonante, e questo mi piace.






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